
Se avessi detto alla mia me del 2008 – in piega foga Twilight e vampiri – che solo quattordici anni dopo Kristen Stewart sarebbe stata candidata agli Oscar come Miglior attrice protagonista, non sarei riuscita a crederci. Eppure, di strada ne ha fatta tanta, Kristen, e oggi è la protagonista del film Spencer, diretto da Pablo Larraìn.
Si tratta di un biopic su Lady Diana, dal cui cognome da nubile deriva il titolo del film. La storia si svolge tutta nel corso di tre giorni, quelli delle festività di Natale 1991, alla tenuta reale di Sandringham. A questo punto del matrimonio con Carlo, la nostra protagonista ha ormai imparato cosa vuol dire far parte della famiglia reale: sopportare formalità opprimenti e “rumour” di tradimenti, indossare un sorriso aggraziato e abiti strategicamente studiati, e così via. Ma tutto ciò non ha ancora avuto la meglio sul suo spirito, che non rinuncia alla spontaneità di una risata di troppo, alla complicità ribelle con i propri figli, o un raggio di sole attraverso le tende aperte della propria stanza.
Fin qui, tutto come al solito, no? Volenti o nolenti, tutti sappiamo qualcosa della storia della nuora più ribelle di Buckingham Palace, e i biopic al riguardo non scarseggiano. Ma stavolta, Larraìn ha deciso di colorare la pellicola con toni da horror-psicologico. E quindi ecco arrivare una colonna sonora inquietante, opprimente, disturbante. Ecco arrivare allucinazioni, apparizioni, e demoni che da simbolici prendono forma umana.

Queste combinazioni, tuttavia, lasciano lo spettatore con sentimenti contrastanti. Il film ondeggia costantemente fra l’eccessivamente simbolico e l’esageratamente didascalico. Si passa, infatti, da scene in cui Diana non riesce a compiere gesti quotidiani (come, per esempio, mangiare una zuppa di piselli) senza sentirsi soffocare dai propri abiti, per simboleggiare l’asfissia della propria situazione… a scene in cui Lady D conversa con Anna Bolena, che le convenientemente ed esplicitamente anticipa che sarà uccisa da suo marito perché questi possa sposare la sua amante. Il personaggio stesso di Diana non riesce a prendere vita, non viene costruito ai fini di una sensata continuità del film, ma trae spunto da quello che lo spettatore già sa. Difatti, se per qualche motivo ci si approcciasse alla pellicola senza conoscere la storia di Lady Diana, si rimarrebbe molto confusi da questi 120 minuti di una donna angosciata da attività quotidiane, che si aggira affranta fra le ricche mura di una tenuta regale.

Venendo, dunque, all’interpretazione di Kristen Stewart, i sentimenti contrastanti non mi abbandonano. Perché mentre sono convinta che la sua performance sia stata esattamente quella desiderata dal regista, non posso non far caso alla mancanza di espressioni facciali. Ammetto le mie mancanze: non ho visto abbastanza video di Lady D per poter del tutto apprezzare l’accento e le movenze che, a detta di tutti, la Stewart ha azzeccato in pieno. Tuttavia – e mi dispiace un mondo dirlo – fatico ad empatizzare con un personaggio di cui io per prima non capisco le emozioni.
Detto questo, amo Kristen e se dovesse vincere l’Oscar per questa interpretazione non mi dispiacerebbe. Ma resto dell’idea che questo film non sia necessario nelle nostre vite, possiamo non vederlo senza farci mancare nulla.
