The Lost Daughter: L’esordio alla regia di Maggie Gyllenhaal è la storia di un angosciante e contraddittorio rapporto materno

Questo film è candidato alla 94esima Edizione degli Oscar (2022) nelle categorie miglior attrice protagonista per Olivia Colman, miglior attrice non protagonista per Jessie Buckley, miglior sceneggiatura non originale per Maggie Gyllenhaal.

Il gelo dell’ala storta cade lungo il mio corpo”. Questa frase non è solo una citazione presa da un poema di Auden che sentiamo pronunciare da Bianca, una delle 2 figlie della protagonista Leda, è soprattutto la confessione delle sensazioni che la piccola ha nei confronti della madre. Una madre interpretata in modo magistrale (specialmente) da Olivia Colman nel presente, e da Jessie Buckley nei flashback. L’interpretazione che dà Olivia Colman è di una naturalezza estremamente pura, perché ciò che colpisce della sua Leda Caruso non è l’apice di uno stato d’animo raggiunto al culmine di un monologo o di una scena particolarmente emotiva. Al contrario, quel che rimane di questo personaggio alla fine del film è la desolazione che la Colman trasmette a noi spettatori in modo tanto semplice quanto efficace. Leda è una madre che sotto alla corazza di morigerata insegnante universitaria, nasconde fragilità ed afflizione frutto di un passato che la tormenta e la segue fino in Grecia, dove aveva deciso di trascorrere le sue vacanze. Un passato che irrompe nello schermo in modo non schematico, ma naturale perché stimolato dalle sensazioni che vive la protagonista nel presente. E quindi assistiamo a ricordi che raccontano perché per buona parte del film vediamo solo inquietudine negli occhi di Leda mentre osserva Nina, messa in scena da Dakota Johnson, giovane madre in vacanza con la larga famiglia del marito. Proprio in Nina, Leda rivede il piacere dell’esser madre, ma anche l’oppressione e l’affanno che questa responsabilità può causare. Infatti, uno dei grandi pregi di The Lost Daughter è proprio quello di rappresentare la maternità non in modo idilliaco e favoloso ma in maniera contraddittoria e reale. Tramite i ricordi vediamo una madre che ama le sue figlie Bianca e Martha, e che si diverte a giocare con loro, ma che al tempo stesso si sente esausta e sul punto di soffocare.

Maggie Gyllenhaal, che si è occupata anche di sceneggiare The Lost Daughter (basandosi sull’omonimo romanzo di Elena Ferrante), dirige questo film in maniera naturale, dando vita a lunghi primi piani dove più che i dialoghi, a parlare sono le espressioni (mai esagerate) degli attori in scena. Questi primi piani girati con assoluto realismo e con dei costanti movimenti di macchina (spesso quasi impercettibili), abbattono la distanza che separa lo spettatore e la scena che sta guardando.

Bianca e Martha intente a guardare la madre che sbuccia un’arancia, un rito che scandirà i momenti del film

Proprio come l’andamento circolare del film, in cui in cui il finale si ricollega alla sequenza d’apertura, anch’io vorrei concludere questa analisi riprendendo la frase con cui ho cominciato a parlarvi di The Lost Daughter: “Il gelo dell’ala storta cade lungo il mio corpo”. La frase non a caso è detta da Bianca, la figlia che più soffre la mancanza di attenzioni da parte della madre, e non da Martha, più comprensiva e (a detta della stessa Leda) cresciuta preoccupandosi dei bisogni della madre. L’angoscia, il disagio e la frustrazione, derivanti dal vuoto percepito da Bianca nel rapporto con la madre, sono messi in scena in maniera formidabile dalla giovane attrice. Ciò che Bianca sente, infatti, non è quell’affetto incondizionato e caloroso che si aspetterebbe, ma un’attenzione discontinua e gelida come l’ala ben poco protettrice della madre.